Vinicio Capossela, il suo primo disco ha 30 anni: parla Antonio Marangolo

Siciliano di Acireale, Antonio Marangolo - classe 1949, fratello di Agostino, batterista noto per le collaborazioni con, tra gli altri, Goblin, Pino Daniele, Antonello Venditti, Riccardo Cocciante, Edoardo Bennato e Niccolò Fabi - ha debuttato nella prima metà degli anni Settanta militando nelle prog band Flea on the Honey e La Famiglia degli Ortega: compositore, arrangiatore e sassofonista, Marangolo ha accompagnato in studio e sui palchi artisti come Rita Pavone, Nada, Sergio Caputo, Ivano Fossati, Antonello Venditti e Ornella Vanoni, per poi instaurare, tra il 1982 e il 1990, una salda e prolifica collaborazione con Paolo Conte. Storico sodale di Francesco Guccini - tanto da essere ancora, insieme a Juan Carlos “Flaco” Biondini, Vince Tempera, Pierluigi Mingotti e Ivano Zanotti, nei Musici, la storica backing band del Maestrone - Marangolo dal 2014 ha affiancato alla carriera musicale anche quella di scrittore, pubblicando per Mondadori il romanzo "Complice lo specchio". Arrangiatore dei primi tre album di Vinicio Capossela, l'artista - insieme a Jimmy Villotti ed Ellade Bandini - oltre che alla session di "All'una e trentacinque circa", ha preso parte in veste di musicista alle registrazioni di due album di Paolo Conte, l'eponimo disco dell''84 e "Aguaplano" dell''87, accompagnando il cantautore astigiano in occasione dei suoi primi concerti parigini.
"Il mio impatto con le canzoni di 'All'una e trentacinque circa' fu innanzitutto professionale: per prima cosa, dovevo capire se mi sarebbe stato possibile arrangiarle con lo stile che avevo allora, che era molto vicino a quello di Paolo Conte. Una volta trovata la direzione, iniziai a ragionare come ragiono di solito approcciandomi a una nuova composizione, cioè in modo molto semplice: ogni canzone, in sé, ha già un arrangiamento nascosto che aspetta di essere scoperto, e che parte innanzitutto dalla ritmica. E' quella che bisogna indovinare. In pochi ci riescono: gli italiani tendono a scrivere molto, utilizzando quasi sempre ritmi rock che tendono in diversi casi a rivelarsi inadeguati. Riempire un arrangiamento di frasi melodiche è facile, ma è la ritmica la cosa più importante".
"Sapevo che avrei lavorato con Villotti e Bandini, sulla resa delle session non ho mai avuto dubbi. Poi Capossela era sorprendentemente preparato, per la sua età: a differenza di tanti suoi coetanei, conosceva gli standard jazz. Capimmo subito che l'atmosfera sarebbe stata quella di artisti come Buscaglione o Carosone, infatti ripristinammo - nell'ensemble - il contrabbasso, che, Paolo Conte a parte, all'epoca era completamente sparito dalla circolazione. Nessuno si aspettava da un ventenne una preparazione del genere. Fummo tutti sorpresi, in primis Guccini [che fece avere a Fantini la demo di Capossela], che notò in lui una verve diversa. Lavorare a 'All'una e trentacinque circa' fu come preparare un piatto con diversi passaggi di cottura, dove gli ingredienti giusti devono essere aggiunti al momento giusto".
"Ero un tipo di arrangiatore piuttosto dittatoriale, e questi musicisti - tutti bravissimi, alcuni anche più anziani di me - mi seguivano ciecamente, soprattutto Ellade [Bandini]. Vinicio era troppo giovane per protestare, ma a lui quello che stavamo facendo andava bene. E poi c'era Fantini: il suo apporto è stato fondamentale nel limitare le smanie di noi musicisti. Quando passavamo il limite ci fermava subito. Per quel che mi riguarda, è stato il più grande manager musicale di sempre, e il suo punto di forza era il buon gusto. La sua perdita è stata devastante: aveva una capacità incredibile di valorizzare i musicisti, sia in studio che dal vivo. Dopo la sua scomparsa, non ho più incontrato nessuno come lui".
"Capossela, durante le session, era attonitamente felice: è stato uno degli ultimi artisti, se non addirittura l'ultimo, ad aver avuto la possibilità di firmare un buon contratto discografico, con anticipi congrui e una pianificazione a lungo termine. All'epoca di 'All'una e trentacinque circa' pendeva dalle nostre labbra, ma era chiaro che fosse in procinto di formarsi una personalità, che poi si sarebbe rivelata nel suo secondo disco ['Modì'], consolidata nel terzo ['Il ballo di San Vito'] ed esplosa dal quarto ['Canzoni a manovella'] in poi, quando decise di prendere una strada diversa, più vicina alle atmosfere balcaniche di Goran Bregović. Strada che ha fatto bene a prendere ma che non ho condiviso con lui, perché - per quelli che sono i miei gusti - non avrei saputo come aiutarlo".
"Ai Condulmer Studio stavamo tutti insieme, in questa villa bellissima, con piscina e ristorante interno. Fu un periodo di isolamento completo dal mondo, senza giornali, TV e distrazioni. Solo noi e la musica, a registrare e riregistrare, per venti giorni, che - per un disco come quello che stavamo facendo - forse sono stati anche troppi. La cosa, tuttavia, non ci pesò. Anzi: alla fine fu quasi difficile tornare a casa".
"Per 'All'una e trentacinque circa', in quando opera prima, non fu stanziato un grande budget: produttore e arrangiatore devono tenere conto anche di questo, quando assemblano gli organici in vista delle session. Già 'Modì', in questo senso, fu più ricco [con le partecipazioni di, tra gli altri, Andrea Braido e 'Flaco' Biondini alle chitarre, Ares Tavolazzi al basso e Mark Harris all'Hammond], tale da potersi permettere anche una discreta sezione d'archi, fino a 'Camera a sud', album ricchissimo per la quale venne mobilitata la crème del jazz italiano, da Paolo Fresu ad Antonello Salis, e una vera e propria orchestra d'archi".
"Quando riascoltai per la prima volta 'All'una e trentacinque circa' dopo le session di registrazione probabilmente non ne intuii il potenziale, ma Fantini sì. Lui ne era sicuro: sosteneva che Capossela, nel giro di tre album, sarebbe riuscito a conquistare uno zoccolo duro di fan che l'avrebbero sostenuto per tutta la sua carriera. Il tempo gli ha dato ragione".